
Quel giorno non mi fece una grande impressione. Era un monumento a se stesso, un uomo bello e poco altro. Un riferimento ininterrotto a pellicole, a nomi famosi, a pezzi dell’immaginario collettivo ma niente di maneggiabile, niente di autentico, all’apparenza. Invece, vedendo il documentario ho ricevuto una vera e propria sorpresa. Quell’anziano taciturno che avevo conosciuto mesi prima esce fuori con la forza di un leone, con la profondità evocativa delle rovine di una civiltà. Pagine alternate tra ironia e malinconia per un percorso inatteso, mai banale, mai stupido. Sincerità estrema, lealtà verso la vita, quella che auguri a te stesso il giorno che non sarà più importante votare l’anima all’apparenza. I pettegolezzi che sbiadiscono e perdono importanza, quasi disturbano un racconto che sembra un momento unico, il testamento di un uomo profondo. Esce e comanda la bellezza dei suoi vuoti di memoria, la disperazione di certi sguardi, l’irruzione di ricordi difficili come sassate che vengono da lontano. Il Monnezza lontanissimo davvero, ma anche quel tessuto pubblico cucito coi nomi di Visconti, Antonioni, di quell’attrice che per lui aveva perso la testa o di quell’altro che era antipatico davvero. Un uomo, gli spessori di un uomo, che per circostanze varie ha fatto l’attore. A L’Avana succede anche questo: giri l’angolo e scopri Tomas Milian…
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